L’Etiopia è in guerra. Questo Natale non sarà come quelli passati. Per nessuno di loro.
Non so dove sia il mio amico Tesfai in questo momento, non so se sia vivo. Mi piace, in questa notte, ricordarlo con voi, così come lo ricordo io.
La prima volta che vidi Tesfai ne rimasi subito colpito. Faceva una certa paura. Era un omone grande e robusto, carnagione scurissima e capelli rasati. Cicatrici sparse su tutto il volto gli davano l’aspetto di uno che ne doveva avere passate talmente tante da non temere più nulla. E infatti era così. Tesfai non temeva nulla, semplicemente perchè aveva visto tutto quello che c’era da vedere. Aveva diviso il suo giaciglio con la paura, aveva abbracciato il dolore, la sofferenza, le privazioni. Troppe volte aveva incrociato il suo sguardo con la morte, facendosi beffe di lei. Ne era sempre uscito vincitore, anche se portava addosso i segni evidenti delle battaglie. Il suo corpo custodiva proiettili mai estratti, le ferite sul viso sembravano scolpite da un talentuoso ebanista e una gamba non funzionava più bene, per colpa di una delle tante bombe che gli erano esplose vicino. Ma lui era vivo, felice, fiero. E questa era la sua vittoria.
Era un soldato e lo era stato da sempre, aveva passato gran parte della sua vita insieme ai suoi compagni, lottando per ciò in cui credeva fermamente: la giustizia e la libertà.
Poteva stare senza mangiare, senza bere e senza dormire per giorni, poteva camminare senza fermarsi mai e senza sentire la stanchezza. Era cresciuto così e a lui sembrava normale.
Ci mise del tempo a fidarsi di me. Di quel bianco arrivato improvvisamente sull’altopiano per aiutare la sua gente, senza chiedere nulla in cambio.
Con la scusa di proteggermi divenne per lungo tempo la mia ombra. Voleva capire chi ero. Poi, un giorno, dopo molti mesi, mentre camminavamo per avvicinarci a un villaggio sulle montagne, mi prese per mano: il segno di amicizia più grande che un guerriero possa farti.
Prendermi per mano voleva dire che ero diventato suo amico e che ormai si fidava di me.
Con il passare del tempo cominciò a invitarmi a cena a casa sua, un onore grandissimo ed io ero davvero felice di passare del tempo con la sua famiglia, con i suoi sei figli e con la sua bellissima, misteriosa moglie Haimanot.
“ Perché fai tutto questo per me, Tesfai “, gli chiesi una sera?
“ Perchè tu sei qui per aiutare la mia gente e il mio compito è proteggerti “.
“ Ma non hai altri amici, qualcuno dei guerrieri con cui hai condiviso la tua vita “?
“ Molti di loro non ci sono più. Avevo però un amico speciale, come te. Si chiamava Behrè “.
“ E dove è ora “?
Non mi rispose, ma mi fece segno di uscire. Ci sedemmo su una panchetta di legno davanti alla sua capanna. Era una notte serena, come tutte le notti africane, con la solita miriade di stelle che rendevano il cielo una cupola blu cobalto, mentre le voci che salivano dal villaggio riempivano l’aria di canti, risate, voci di bambini.
“ Behrè era sempre stato la metà dell’anima sua. Era suo amico fin da quando erano bambini. Era un guerriero come lui. Avevano combattuto fianco a fianco ed erano sopravvissuti insieme alla fame, alle malattie, a ogni tipo di privazione. Un giorno Behrè si innamorò di una donna, una donna soldato dall’aria nobile e fiera che combatteva insieme a loro.
Si chiamava Haimanot. Era bella, alta, sottile e regale, come solo le donne etiopiche sanno essere. L’amore per lei non cambiò la loro amicizia, anzi Behrè e Haimanot dividevano quella inaspettata felicità con Tesfai, raccontandogli dei loro sogni, di quando, finita la guerra, si sarebbero sposati e sarebbero andati a vivere in una casa, insieme a tanti figli.
Erano sempre insieme Tesfai, Behré, Haimanot.
Combattevano, ridevano e soffrivano insieme, nutrendosi l’uno della forza dell’altro.
La guerra però, si fece più aspra, proprio quando Haimanot rimase incinta.
Sì, perché, lassù sulle montagne, non si combatteva solo, ma ci si amava e Behré e Haimanot, una notte, si erano amati sotto le stelle, dimenticando gli orrori della guerra che li circondavano. Haimanot, poco dopo, dovette tornare a casa. Behré le promise che sarebbe tornato presto: in tempo per la nascita del loro primo bambino.
Nei mesi successivi però, Tesfai sentì che il suo amico non era più lo stesso: aveva paura perché, per la prima volta nella sua vita, aveva qualcosa da perdere.
“ Ho paura, Tesfai, paura di non tornare a casa. Promettimi che, se mi succederà qualcosa, ti prenderai cura di Haimanot e di mio figlio “.
Una notte furono attaccati all’improvviso.
Uno sparo, un sibilo troppo vicino al volto di Tesfai che si trasformò in aspra realtà. Tesfai si girò di scatto verso Behré e vide il suo sguardo perso, interrogativo, incredulo, mentre un filo rosso gli colava dalla tempia, riempiendogli gli occhi e svuotandolo della vita. Si sentì impazzire e un ruggito violento prese forma nel suo stomaco per risalirgli su, su fino alla gola e liberarsi nella notte, con la violenza di una esplosione.
Tesfai, con quel grido, stava sfidando la morte a specchiarsi nei suoi occhi privi di paura, ma questa volta fu lei, la morte, a farsi beffe di loro. Una risata amara vibrò nell’aria, così alta che il cuore di Tesfai si crepò, fin quasi a rompersi.
Quando, guidato da Tesfai, il piccolo carro con il corpo di Behré fu in vista della casa di Haimanot, lei li vide da lontano. Si avvicinò in silenzio, mise il piccolo che teneva tra le braccia nelle braccia di Tesfai e, mantenendo la sua innata fierezza, si avvicinò al carro sul quale riposava, avvolto da un telo bianco, l’uomo che aveva amato.
Rimase lì sola, in silenzio, fino a quando giunse la sera e Tesfai le si avvicinò, mettendole tra le braccia il piccolo che aveva iniziato a piangere con un pianto delicato e li abbracciò. I tre si fusero, come una cosa sola, come statue di argilla al sole. Lei appoggiò la testa sul suo petto, si affidò, si abbandonò, ma non pianse, perché i guerrieri non piangono “.
Pensai che c’è sempre, nella storia di tutti noi, un momento in cui la vita sembra spaccarsi a metà. È sempre la stessa vita che, poi, se lo vogliamo e siamo disposti ad accoglierlo, sa farci dono di oro fuso, per incollare ciò che sembrava irrimediabilmente rotto, trasformando quella linea di frattura in un gioiello di inestimabile preziosità. È la legge dell’universo e la stavo toccando con mano, grazie a Tesfai, grazie al mio amico….
La porta della capanna di Tesfai si aprì e, avvolta in una mantella di colore bianco, apparve la sua bellissima moglie: Haimanot, la guerriera.
Posò con grazia la sua mano forte sulla spalla di Tesfai e sorrise dolcemente: “ avete finito di parlare, voi due? Fa freddo. Vi ho preparato un thè caldo con cannella, zenzero e miele. Entrate, si è fatto tardi “.
Francesco