Fotogallery: Dagli albori del villaggio ad oggi. In questa pagina ti voglio raccontare come è nato il villaggio dei bambini di Adwa e di come le storie di ogni bambino siano state fonte di ispirazione per fare sempre meglio e sempre di più.
22 anni fa iniziava la nostra grande avventura in Etiopia: Il Villaggio dei Bambini di Adua.“Non avevo idea di come sarebbe stato, di come lo avrei sostenuto, di come andasse organizzato, di dove lo avrei fatto e soprattutto di dove avrei trovato i soldi per costruirlo.”Il terreno fu il primo passo. Sotto quella montagna che sulla cima di sinistra portava scolpito un volto benevolente sarebbe nato il più bel villaggio per bambini che si fosse mai visto.Ciò che vedevo intorno a me non sempre era di aiuto per iniziare a programmare la costruzione del Villaggio.“Nel frattempo avevo costruito legami così solidi che sarebbero durati per sempre. Tesfu e Zafu. Senza di loro non ce l’avrei fatta.”“Dietro ad una scrivania non mi sentivo particolarmente a mio agio…in compenso con le mani me la sono cavata sempre molto meglio, e intanto il Villaggio prendeva forma.”“Con l’aiuto di un rabdomante avevamo trovato l’acqua, servivano serbatoi dove contenerla e mani, tante mani per posizionarli perché mezzi meccanici lì non esistevano.”“Le case per i bambini sono pronte. Si, è vero, forse mancano ancora fiori e piante ma cresceranno insieme ai bambini, con il tempo.”“E i bambini iniziarono ad arrivare e a trovare quella casa che non avevano mai avuto, una mamma che si prendeva cura di loro, lettini puliti e qualcuno con cui dirsi buonanotte sorridendo.”Per chi ha letto il libro BABAJÉ Il richiamo dei bambini invisibili, lei è Melat. “Tutto era iniziato grazie all’incontro con lei… una invisibile che prese forma improvvisamente di fronte a me in un vicolo polveroso. Poco tempo dopo il nostro incontro Melat iniziò ad assumere contorni e colori meravigliosi..”Il Villaggio si era riempito di una infinità di vite ed io grazie a loro riscoprivo la bellezza della mia. Le sere lassù sull’altopiano avevano un sapore speciale.“Babajè facciamoci una foto ma per favore senza fare le tue solite smorfie”Anche mia sorella venne a trovarmi e condividevamo quelli che lei amava chiamare “i momenti perfetti”… come quella sera seduti in mezzo ad un sogno ancora in costruzione.Quella vita mi rendeva così felice che a volte avevo paura di aprire gli occhi e scoprire che era tutto un sogno.Non avevamo un vero albero di Natale ma in compenso avevamo fatto il più bel “banano di Natale” che si sia mai visto.Si ero veramente felice… E sapevo che di momenti così ne avrei avuti tanti altri.“Che preferisci spezzatino o bistecche? . Avevo trovato anche una macelleria di fiducia che trattava solo carni bio.Possibile che non si riesca a fare una foto seria… Per chi ha letto il libro Babajè – Il richiamo dei bambini invisibili – lei è Eden.Il “Centro dei miracoli”. Così la gente del luogo aveva ribattezzato il Feeding Centre del Villaggio (Centro per la cura della denutrizione) che aveva la capacità di trasformare in pochi mesi occhi spenti e vuoti in sguardi felici. (Foto Dopo)Il “Centro dei miracoli”. Così la gente del luogo aveva ribattezzato il Feeding Centre del Villaggio (Centro per la cura della denutrizione) che aveva la capacità di trasformare in pochi mesi occhi spenti e vuoti in sguardi felici. (Foto Prima)Per chi ha letto il libro “Babajè – Il richiamo dei bambini invisibili” quella tra le mie braccia era Rompina, “la bambina che mi insegnò a volare..”Ci eravamo innamorati tutti di Rompina e del suo tanto insopportabile quanto adorabile caratterePiedi stanchi che avevano camminato per ore e flebili vite contenute nelle ceste del pane…così arrivavano al Villaggio tante nuove creature..E c’era anche Babbo Natale che usciva da un camino e tanti pacchettini da aprire…cosa chiedere di più?“Ahooooo fatemi scendereeee che c’ho pauraa”. I nuovi arrivati li pesavamo così ma non tutti amavano quella particolare altalena.E’ l’alba sull’altopiano del Tigray. Un uomo avvolto nel suo mantello bianco chiede perdono per i suoi peccati. Una delle foto che amo di più.Per chi ha letto il libro “Babajè – Il richiamo dei bambini invisibili” questa è Maga Uma. Gli uomini scavano a mano un pozzo in cerca dell’acqua che lassù tra le montagne è un bene di inestimabile valore.Siamo diventati veramente tanti e diventeremo ancora di più. Dopo pochi anni più di 100 bambini abitano il James non Morirà Children’s Village di Adwa. E io che pensavo non avrei avuto figli…Adorabili medici in pensione iniziarono a venire come volontari al Villaggio per curare i miei bambini e tutti quelli che non potevano permettersi un medico e le relative cure.Un amico manovale mi aveva spiegato che non esiste nulla di più comodo di una carriola. E così in mancanza di altro Ghennet, una delle mie bimbe nata con un grave handicap e quindi abbandonata, trovò il suo nido proprio in una carriola foderata di gomma piuma.Il reparto di pediatria dell’ospedale di Adwa portava addosso i suoi cento anni di incuria… così decidemmo che era arrivato il momento di dargli una rinfrescata. Nonostante i limitati mezzi a disposizione il risultato fu sorprendente e i bambini che ci entravano erano un po’ meno tristi.Alle volte arrivavano così tanti bambini tutti insieme che non sapevo più dove metterli, ma i nuovi arrivati una volta lavati e vestiti sembravano divertirsi molto.Per una vita non mi ero mai reso conto di quale fortuna fosse il poter aprire il rubinetto e veder uscire l’acqua. C’era chi per una tanica da dieci litri si faceva ore di cammino.La maggior parte delle volte era compito delle bambine fare diversi chilometri per andare a prendere l’acqua. Con una tanica, che serviva per bere e lavarsi, tutta la famiglia sopravviveva un giorno intero. E il giorno successivo il viaggio si ripeteva.Erano sempre le bambine o le donne ad andare a raccogliere la legna che serviva per cucinare.Nel frattempo Melat, quella che diede inizio a tutto, scopriva una nuova vita, ed io con lei.Guardate tutti qui che ci facciamo un selfie….un che???Anche “Rompina” (per chi ha letto il libro è La bambina che mi insegnò a volare) aveva trovato una casa e qualcuno che amava particolarmente prendersi cura di lei.Non avevamo zaini all’ultima moda ma le cartelle dei miei bambini erano davvero cool oltre che terribilmente romantiche.Non c’erano molti intrattenimenti ma se c’era una cosa che i bambini adoravano erano i cantastorie che venivano a raccontare incredibili avventure.La notizia del Villaggio dei bambini si era sparsa ovunque e ogni giorno decine di persone aspettavano fuori dal cancello in cerca di aiuto.E nessuno si scordava mai del mio compleanno. Credo di aver festeggiato con loro i miei anni più belli.Non amavo molto andare ad Addis Abeba che intanto diventava una città sempre più moderna con gli architetti locali che si lasciavano andare a interpretazioni davvero all’avanguardia… forse troppo.Non c’era giorno che non arrivasse qualcuno in cerca di aiuto e le famiglie che venivano dai villaggi, riconoscibili dalle pettinature, dai vestiti a fiori e dai piedi scalzi, erano le mie preferite.
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