Da leggere nella notte di Natale (2011)

Il nome arriva, appena sussurrato, dalla stanza accanto: Mashana.

“ Francesco, vieni !”

La donna che è seduta davanti alla scrivania di Zafu, ha il ventre gonfio.

E’ magrissima, scalza, giovane.

“ L’ospedale è ancora lontano, ho avuto paura di non farcela e mi sono ricordata del Villaggio. Conoscevo Abdula, così sono venuta qui”.

“ Vieni da Mashana, è lontano, come hai fatto?”

“ Mio marito mi ha caricato sull’asino e mi ha portato fino alla strada, poi ho camminato”.

“ Senti, non possiamo tenerti, non siamo attrezzati, dobbiamo portarti all’ospedale “.

“ Ma Abdula l’avete tenuta due anni con voi…”.

“  Abdula aveva solo otto anni, era molto malata e non aveva nessuno.

“ Io ho solo questo bambino e devo farlo nascere  “.

“ Ascolta, ti portiamo all’ospedale, ma verremo a trovarti ogni giorno, finché il bambino non sarà nato. Poi tornerai qui, potrai restare fin quando vorrai, ma tuo marito ti aspetterà, cosa gli hai detto? “

“ Tornerò il 6 gennaio “. *

“ Ma è la notte di Natale “.

“ Si “. 

                                                                                                   °  °  °  °  °

 Abdula, detta Rompina perché strillava sempre, era sorda.

Trovata all’ospedale, in un letto per neonati che la costringeva a stare con le gambe piegate, giaceva, nella sporcizia e nell’abbandono, ormai da tre mesi.

Nessuno mai era venuto a trovarla.

Quello che la persona che incontrò il suo sguardo vide, era esattamente speculare al profilo singolare della montagna che si staglia davanti ad Adwa.

E’ una figura sdraiata, rattrappita, con un ventre gonfio, un ombelico fuoriuscito, le gambe ripiegate e la  testa rovesciata all’indietro.

Fu portata al Villaggio che non si reggeva in piedi.

Ma fu amata, nutrita, curata ed il volto cominciò ad essere quello di una bambina felice.

Un giorno gridò: “ la mia famiglia mi ha abbandonato come un cane perché ero malata e ora non voglio vedere mai più nessuno di loro “.

Adorabile a volte, insopportabile altre, erano però tutti pazzi di lei.

Arrivava sorridendo, ti abbracciava stringendosi forte, senza dire una parola, oppure si oscurava in viso, a smaltire una rabbia difficile da capire.

Ma lei cosa capiva?

E la sua malattia era scomparsa o solo sopita?

Crollò all’improvviso, una discesa terribile verso un punto di non ritorno.

All’ospedale la intubarono con un tubo di plastica vecchia e sporca per aspirare con una vecchia pompetta a pedale il sangue che le aveva riempito lo stomaco, e le spinsero dentro un po’ di aranciata gassata, in mancanza di una soluzione di glucosio.

Poi la sera vomitò l’ultimo sangue che aveva nello stomaco, si contrasse e se ne andò.

Nevia e Francesco la caricarono su una barella, la misero in macchina e andarono a portarla alla famiglia che vive in un villaggio in mezzo alle montagne.

Questa è la descrizione che Francesco ha fatto di quella notte e del mattino seguente:

 “Era una notte bellissima ieri, c’era la luna piena che illuminava le vallate e la pioggia che era caduta durante il giorno aveva trasformato l’erba in tanti fili argentati che si illuminavano alla luce della luna. Siamo arrivati a cento metri dalla sua casa, poi c’era troppo fango e non potevamo andare avanti. C’erano il padre, il fratello e tre donne. La hanno presa senza versare una lacrima, ci hanno ringraziato e si sono incamminati verso la loro capanna. Noi siamo rimasti in macchina ad illuminare con i fari la strada. Non so descrivere quei momenti in quella valle argentata, quella piccola processione che si allontanava nel buio, il corpicino di Rompina che spariva nella notte seguito da quelle figure avvolte nei loro teli bianchi, era qualcosa che toglieva il fiato, ti fermava il respiro, ti bloccava il cuore.

Oggi siamo stati a seppellirla come vengono seppelliti i poveri qui, quelli che non possono permettersi una cassa di legno. Era avvolta in un lenzuolino bianco, sopra di lei un po’ di terra e dei sassi. Siamo rimasti un po’ lì davanti a quel mucchietto di terra a guardare, a pensare, a cercare di renderci conto che lì c’era la nostra Rompina, ed in quel momento abbiamo capito che non l’avremmo mai più rivista, che mai avremmo sentito la sua voce stonata chiamarci, che mai più avremmo visto i suoi sorrisi e i suoi musi lunghi, che mai avremmo rivisto quella sua camminata ubriaca venirci incontro e abbracciarci, che mai avremmo rivisto quel corpo da formichina con il suo golfino blu e rosso e con i bottoni dorati, camminare per il Villaggio”.

                                                                                                            ° ° ° ° °

E’ il 6 di gennaio, la giovane donna è sempre magrissima, ha un paio di sandali ai piedi ed un bimbo tra le braccia.

“ Francesco, dobbiamo andare “.

E’ lunga la strada, ormai è scesa la notte.

La macchina si ferma.

L’uomo è lì, avvolto nel suo telo bianco, aspetta .

La donna scende dalla macchina,  mette il bambino in braccio all’uomo e sale sull’asino. Poi riprende il suo fagotto, il velo bianco li copre entrambi.

Anche questa notte la luna buca il nero del cielo, l’aria è tersa, profumata, ed è la notte di Natale.

Nel silenzio altissimo un asinello, un uomo, una donna ed il suo bambino, si allontanano lentamente su un tratto di strada bianca, illuminata dai fari della macchina.

Luciana

* Il Natale ortodosso cade intorno al  7  gennaio.

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