Voglio tornare a casa

È successo negli anni scorsi ad Addis Ababa.

Eravamo in visita a un Centro con il quale collaboriamo da anni, ed entrando nel cortile, abbiamo notato una lunga fila di sedie che arrivava fin sotto le scale dell’ufficio. Per ogni sedia, di spalle, uomini, donne, ragazzi chinati in avanti, i piedi a bagno in una bacinella di plastica. Da dove eravamo non riuscivamo a vedere altro. Ci siamo avvicinati e abbiamo chiesto.

“Sono tutti malati di Podoconiosi, a vari stadi della malattia, vengono qui una volta a settimana a curarsi. Molti vengono da Gojam e quasi nessuno ha una casa. Vivono di elemosina. La metà di loro vive in una zona vicina al lebbrosario, che dista da qui circa 15 km. E non ce la fanno ad arrivare, nonostante le nostre insistenze, perché fanno tanta fatica a camminare, anche se per alcuni tratti possono prendere un autobus. Sono emarginati, soprattutto quelli che emanano cattivo odore, impossibilitati ad avvicinarsi agli altri, perché sempre scacciati e guardati con sospetto. Molti pensano che sia una malattia ereditaria o una maledizione. Una vita d’inferno.”

Voglio tornare a casa

Ci siamo informati sulla Podoconiosi, un nome che probabilmente risulterà sconosciuto a tutti voi, come era sconosciuto anche per noi e come è risultato sconosciuto a molti medici con i quali siamo in contatto o che ci aiutano.

È nota anche come elefantiasi del piede o piede muschioso ed è diffusa prevalentemente nell’Africa Tropicale, ma si trova anche in alcune zone dell’India e dell’America Centrale.

È una malattia dimenticata e quasi sconosciuta, anche se affligge circa cinque milioni di persone. L’Etiopia è il paese maggiormente colpito al mondo, con circa un milione di persone malate, ma con i soggetti a rischio che sono circa 11 milioni. Una percentuale assai rilevante della popolazione dell’intero paese.

La Podoconiosi non è infettiva, ma ha cause esterne ben precise. Insorge difatti in regioni si trovano ad altitudini superiori ai mille metri, dove il terreno è vulcanico, composto da argilla rossa.

Colpisce coloro, soprattutto agricoltori, che camminano usualmente a piedi nudi in queste zone, perchè alcune particelle di minerali (in particolare il silicio), contenute in questi terreni, penetrano nella pelle dei piedi, provocando prima irritazione, poi, man mano che si infiltrano sempre più nella carne, il blocco della circolazione linfatica locale.

Le conseguenze della malattia, che si evolve i tre stadi, sono drammatiche. Prima il piede causa prurito e bruciore, poi si gonfia e causa dolore, poi evolve con la comparsa di noduli, che divengono sempre più grossi e numerosi, fino a deformare completamente il piede, mentre spesso si instaura anche una trasformazione della pelle, che fa apparire il piede come coperto da muschio, da cui il nome di piede muschioso.

A seconda dell’evoluzione della malattia – che colpisce il piede e, in genere, anche la parte inferiore della gamba, fino al ginocchio – l’arto può divenire gonfio in modo abnorme, con ritenzione di liquido, oppure duro, con rigidità delle dita, che divengono simili a pietra, tanto che se ne può sentire il ticchettio sul pavimento. Compaiono poi delle ferite profonde e vaste ulcerazioni, sulle quali si instaurano infezioni gravi e maleodoranti.

Le persone affette da questa malattia invalidante – che è in qualche modo assimilabile alla lebbra e che impedisce o rende assai difficoltosa la deambulazione – patiscono ulteriori penose sofferenze perché, anche a causa dell’evolversi della malattia e al cattivo odore che emanano le ferite, sono emarginate dalla vita sociale: è vietato loro frequentare le scuole, sposarsi con persone non affette dalla malattia e sono di fatto escluse dalle cerimonie pubbliche e religiose. Non riescono quindi ad inserirsi in un qualsiasi tipo di attività lavorativa. Vivono un’esistenza di totale emarginazione, contraddistinta da una visione di sé, totalmente negativa e priva di ogni speranza, in situazioni di permanente disagio, difficoltà, depressione.

La prevenzione sarebbe semplicissima: basterebbe indossare scarpe con calzini, per evitare di porre i piedi a contatto diretto con il suolo. Il problema è che, nelle zone colpite, gli abitanti appartengono alle classi più povere, che trascinano un’esistenza di mera sopravvivenza e non hanno quindi il denaro per comprare le scarpe, né cognizione delle cause di insorgenza della malattia, oltre a una ancestrale abitudine a camminare comunque a piedi nudi.

La cura di questi malati è sostanzialmente semplice, e consiste nel lavaggio giornaliero dei piedi e delle gambe al di sotto del ginocchio con sapone e acqua addizionata di un semplice disinfettante (varechina); poi applicazione di un emolliente, come la vaselina.

È inoltre necessario ricorrere a un bendaggio delle gambe e dei piedi, soprattutto se vi sono ulcerazioni e ferite per evitare le infezioni.

Naturalmente le persone devono indossare le scarpe ma, poiché i piedi sono deformati, occorre fabbricare scarpe su misura per ciascuna persona.

La cura – lavaggio più emolliente – dovrebbe essere fatta tutti i giorni, ma le persone che sono attualmente assistite dal Centro, vivono in località distanti e hanno notevoli difficoltà a raggiungerlo, per cui si curano solo una o due volte la settimana, così che i miglioramenti sono lentissimi.

Ma, in ogni caso, si arresta il progredire della malattia

Nei casi più gravi, l’unico rimedio resta quello chirurgico, che mira a rimuovere i noduli per consentire di indossare delle scarpe.

Con il nostro progetto, la cura verrà erogata in modo più organizzato, quindi con maggiore frequenza, estesa a un numero superiore di malati, introducendo un servizio di trasporto gratuito delle persone.

Ci è sembrato un progetto molto bello, proprio per l’aiuto concreto che può essere dato a persone che sono veramente nella condizione di ultimi tra gli ultimi, emarginate, evitate e che, con semplici cure, possono invece veramente ricominciare a vivere.

I malati che frequentano il Centro sono notevolmente aumentati: dai circa 50 iniziali, siamo arrivati ad oltre 150 e continuano ad aumentare.

Purtroppo non tutti frequentano con assiduità, anche se, per facilitare una presenza costante, paghiamo il trasporto per arrivare al Centro e offriamo un semplice pasto. Si tratta però di persone che, nella quasi totalità, sono mendicanti; per loro, venire a curarsi, significa perdere molte elemosine.

Dal registro che il Centro tiene per verificare periodicamente la situazione della gambe di ciascun malato, è possibile verificare che molte persone hanno già ottenuto buoni risultati, anche se la guarigione è sempre piuttosto lunga.

Per tentare di evitare loro di vivere di sole elemosine, abbiamo proposto una sorta di micro credito, al quale alcuni di loro hanno aderito, riportando, in linea di massima buoni risultati, che li hanno spinti, dopo avere restituito il primo prestito, a chiederne un altro, di importo maggiore, per ampliare i loro piccoli commerci.

In occasione dell’inizio di attività del nostro centro, avevamo fatto delle brevi interviste (Newsletter novembre 2014) al termine delle quali la maggior parte dei malati aveva espresso il medesimo desiderio: voglio guarire perché “voglio tornare a casa

Vogliamo aiutarli in questo loro sogno?

Associazione
James non morirà
Via Nicotera 29
00195 Roma