Cari amici,
scrivo questa lettera – che vuole essere la prima di quelle che periodicamente pensiamo di inviarvi per tenervi aggiornati su quanto stiamo facendo – appena tornato da Adwa dove, insieme a mia moglie, sono rimasto per circa due settimane, Pasqua inclusa, per aiutare Francesco in questo primo difficile periodo di avvio del “Villaggio” e del “Centro di Emergenza”.
Francesco – che per fortuna ha avuto l’aiuto di Nevia, una volontaria che è rimasta con lui circa due mesi – ha dovuto trasferirsi nel Villaggio quando la sua casa era ancora con i servizi igienici non funzionanti, senza acqua, che è stata allacciata solo dopo qualche giorno, con una lampadina volante, senza la possibilità di cucinare.
Nel Centro di Emergenza non vi era ancora nessuno a lavorare.
Poi tutto è accaduto all’improvviso.
La mattina seguente una giovane madre di 18 anni si è presentata al Villaggio chiedendo aiuto per lei e per la figlioletta Semerawit, avuta da un soldato di passaggio: 18 mesi, 4 chili di peso, incapace di tenere dritta la testa, con gli occhi chiusi e priva di reazioni.
Così è stato preso uno dei lettini, con lenzuola e coperte, e Francesco si è subito messo a preparare il latte per la piccola. La mamma ha poi condiviso, con Francesco e Nevia, il pasto che erano riusciti a mettere insieme per loro.
Il giorno successivo un altro arrivo: ancora una giovanissima madre di 16 anni, proveniente da un villaggio lontano che, attraverso le misteriose comunicazioni africane, aveva saputo che ad Adwa c’era un giovane bianco che si occupava di accogliere i bambini.
Così si è presentata, dicendo che il bambino era frutto di una violenza subita e che non voleva tenerlo. Aveva voluto provare al Villaggio, altrimenti lo avrebbe comunque abbandonato. Detto questo ha deposto il fagotto di stracci ed è fuggita, scomparendo immediatamente, prima che Francesco od uno dei guardiani riuscissero a fermarla od a rincorrerla.
Poi, giorno dopo giorno, altre mamme ed altri bimbi, a cercare nel Villaggio una speranza ormai perduta. Mamme e bambini che vivono stabilmente nel Centro, altre che vengono al mattino e la sera rientrano nelle loro povere case, dove li attendono altri bambini.
Storie di dolore e di miseria, che sperano ormai solo in una misericordia.
E Francesco e Nevia a fare di tutto, nei primi giorni, compreso andare a fare la spesa, preparare il cibo per bambini e mamme del centro. Poi, pian piano, sono arrivate le donne per le pulizie, per la cucina e per tutte le altre esigenze connesse ed il Centro ha potuto iniziare a funzionare come previsto.
Vi voglio ora raccontare brevemente due storie, delle quali sono stato testimone diretto.
Idris, sei mesi, peso kg. 2,400, inviatoci dall’ospedale, perchè impossibilitati ad assisterlo ed a nutrirlo adeguatamente.
Il medico ci aveva avvertito: hopeless, senza speranza.
E’ il più debole di una coppia di gemelli di una donna poverissima e non ha speranza di sopravvivere, perchè il latte materno viene riservato al più forte.
E’ stato subito lavato e nutrito e dopo due o tre giorni sembrava migliorare. Poi, una mattina, la madre ci ha detto che aveva vomitato diverse volte, durante la notte, ed aveva la diarrea. Una corsa all’ospedale con la macchina.
Il dottore allarga le braccia: hopeless, ve lo avevo detto.
Gli facciamo comunque applicare una flebo con un antibiotico che torniamo di corsa a prendere al Villaggio e lo lasciamo alle cure di una delle nostre donne, che sarà una delle mamme adottive degli orfani del villaggio.
La sera è ancora vivo, ma il colore è diventato grigio, respira a fatica. Ogni volta sembra che sia l’ultimo respiro. Pensiamo che non lo troveremo vivo al mattino seguente.
Raccomandiamo alla donna di assisterlo ma non ce n’è bisogno: lo guarda e lo coccola con gli occhi lucidi. Le proponiamo di darle il cambio: è li dal mattino presto, seduta su un lettino. Non vuole alcun cambio, vuole essere lei ad assisterlo durante la notte.
Il mattino dopo lo troviamo, sorprendentemente, ancora vivo. Di tanto in tanto apre gli occhi, ma lo sguardo è vuoto, sembra non vedere.
Hopeless, continua a ripetere il dottore.
Ma la sera è ancora vivo.
Al mattino seguente, l’altra donna che lo ha assistito ci dice che, durante la notte, ha cominciato a piangere, allora lei gli ha dato un pò del latte che le avevamo lasciato e lui lo ha preso tutto.
Ha ricominciato così a mangiare ed a migliorare, con il medico che non riusciva a capacitarsene. Dopo altri due giorni, ce lo hanno rimandato al Villaggio. E’ stato bene per tre quattro giorni, aveva cominciato a sorridere, se sollecitato, ed aveva ripreso a mangiare. I suoi occhi ora ti guardavano e seguivano i tuoi movimenti.
Poi, una sera, lo abbiamo veduto di nuovo meno vispo ed ancora con gli occhi vuoti.
Difatti al mattino seguente ci siamo trovati di fronte alla medesima situazione: vomito e diarrea.
Il medico ce lo aveva detto, abbiamo pensato.
Nuova corsa all’ospedale, ancora flebo ed antibiotici, ancora le donne a scambiarsi i turni di notte per assisterlo, di nuovo il colore grigio ed il respiro del moribondo.
Hopeless ci ha ripetuto il medico.
Ha ragione abbiamo pensato.
Il peso era sceso a kg. 2,200.
Ma, ancora una volta, Idris ha tenuto duro e, dopo qualche altro giorno ce lo hanno rimandato, con il medico sempre più meravigliato della resistenza di questo piccolo, tanto piccolo da avere le gambe più sottili del dito della mia mano.
Sono dovuto partire e Francesco mi dice che, per il momento, sembra stare bene, il peso è salito a 2,700. Ho consultato, qui a Roma, il pediatra che mi ha seguito quando ero bambino e che poi è stato il pediatra anche di Francesco, al quale ho comunicato telefonicamente, alcuni suoi suggerimenti sulle dosi di latte e le quantità dei pasti per evitare, paradossalmente, indigestioni.
Però sappiamo benissimo che Idris continua ad essere a rischio.
La sua situazione è tale che può prendere infezioni con estrema facilità e quello che non è accaduto fino ad ora, può accadere in ogni momento.
Non sappiamo se sarà il nostro primo hopeless sopravvissuto o se, purtroppo, prevarrà la natura che non lascia speranza.
Sappiamo solo che ci proveremo fino all’ultimo e che, comunque, gli avremo offerto giorni pieni di cure e di affetto; lavato, assistito e nutrito.
Li porterà comunque con sé, come un regalo inaspettato, sia se ci sarà consentito di vederlo crescere e lasciare il centro risanato, sia che ci sia chiesto di assistere alla fine delle sue sofferenze e della sua battaglia.
Andando a trovare Idris l’abbiamo vista.
Impossibile non accorgersi di lei. Era quasi la versione di Idris a dieci anni, ma con un ventre enorme. Abbiamo chiesto al medico che ci ha raccontato la sua storia.
Abdulah, 11 anni. Ricoverata in ospedale da sette mesi, su un lettino da bambino molto più corto della sua altezza, che la costringeva a stare con le gambe rannicchiate, non avendo spazio per distenderle. Sdraiata su un telo di pesante plastica marrone, mai pulito o lavato. La famiglia l’aveva quasi abbandonata e nessuno veniva più a trovarla.
“E’ anche depressa” ha detto il medico, “la stiamo curando, ma non sappiamo se abbia una TBC intestinale od una disfunzione al fegato. Dobbiamo spesso toglierle il liquido dall’addome perché continua a formarsi. Le stiamo dando la cura per la TBC, se non guarirà, proveremo con un’altra cura. D’altra parte non abbiamo la possibilità di fare alcun tipo di analisi, quindi siamo costretti ad andare per tentativi. Le cure che sta facendo l’hanno resa anche sorda, ma dovrebbe trattarsi di una cosa reversibile, quando finirà la cura. Avrebbe bisogno di un vitto speciale, senza sale, ma qui in ospedale non è possibile così, da sette mesi, si nutre solo di the e di pane.”
Gli abbiamo chiesto se potevamo prenderci cura di lei e lui ha acconsentito, dato che la terapia di Abdulah è solo per bocca.
Così, il giorno seguente, siamo andati a prenderla.
Ha provato a fare qualche passo ma non ce l’ha fatta. Francesco ha dovuto prenderla in braccio e caricarla sulla macchina.
Poi l’arrivo al Villaggio, dove l’aspettava un lettino pulito, altri bambini e donne che l’hanno festeggiata.
I primi due o tre giorni sono stati difficilissimi. Stava girata con il viso verso la parete e non voleva vedere nessuno. Rifiutava di prendere le medicine, mangiava pochissimo.
Ci siamo messi tutti, a turno, a cercare di starle vicini. Finalmente, una sera, ha accettato di darmi la mano e di alzarsi per fare il giro della stanza per vedere i posters dei personaggi di Disney che avevamo attaccato alle pareti.
E’ stata una festa per tutti. Così, giorno dopo giorno, ha cominciato a mangiare, a sorridere ed a migliorare.
Ora mangia volentieri il cibo speciale che le prepariamo ed il suo addome, con grande soddisfazione del medico (e pure nostra) è notevolmente calato, per cui non c’è stata alcuna necessità di drenare il liquido.
E, finalmente, riesce a distendere le gambe nel lettino, quando la invitiamo a farlo (è ancora abituata a stare rannicchiata nel letto), con un gran sorriso.
Cercheremo di portare dall’Italia alcuni test per la TBC per tentare di capire meglio se è quella la sua malattia e se possiamo fare qualche altra cosa per lei.
Anche per lei sappiamo che, se non potrà guarire, almeno avrà trascorso tutti questi giorni circondata da affetto e ci avrà comunque donato i suoi timidi sorrisi.
Francesco, ed anche tutti noi che lo aiutiamo, ne abbiamo bisogno, per trovare la forza e la carica necessari per andare avanti.
Ci sarebbero altre storie da raccontare – quella di Merawit 10 anni che è ora una delle orfane del Villaggio e di Meskelle (il nome vuol dire croce) 6 anni, che non sappiamo se riusciremo mai a strappare al suo destino – ma sarà per la prossima volta.
Questo per quanto riguarda il “Centro di Emergenza”.
Per quanto concerne invece l’attività del “Villaggio” sono state terminate le prime quattro casette, mentre il completamento definitivo dovrebbe avvenire entro il secondo semestre di quest’anno. Intanto sono entrate le prime due famigliole: due mamme, con due bambini ciascuna.
Mamma Brezaf, con Heden e Melat
Heden è un’orfana che Francesco ha trovato girando per Adwa, con le braccia piene di lividi, perchè il fratello maggiore la prendeva a bastonate ogni giorno, essendo apparentemente un pò tarda d’intelligenza. Dovrebbe avere 13/14 anni.
Melat, quattro anni, è la prima orfana adottata ufficialmente da Francesco, che l’aveva trovata abbandonata in un vicolo, che è stata poi rapita e ritrovata, la cui storia è stata a suo tempo pubblicata su Magazine del Corriere della Sera
Mamma Atzedé con Merawit ed il piccolo Samuel.
Merawit, 10 anni, i cui genitori sono entrambi morti di Aids, presentatasi al Villaggio con tutte le carte necessarie che, da sola e senza alcun aiuto, si era fatta rilasciare dalle autorità. Per lei il Villaggio è stata una scelta voluta.
Samuel circa tre mesi, il bambino lasciato al cancello dalla ragazza fuggita, e della quale vi ho parlato prima, al quale le donne del Villaggio hanno voluto dare questo nome.
Vivono tutti nelle casette preparate per loro e costituite, ciascuna, da due camerette da letto per i bambini, una per la mamma, ed una stanza comune di soggiorno. Poi una piccola veranda sul retro ed uno spazio aperto davanti, dove poter sostare, parlare, incontrarsi, giocare.
E tutte con acqua corrente, che evita di dover fare le scorte alle fontane pubbliche, portando sulle spalle le taniche da 25 litri, razionandone l’uso.
Con la luce, che significa anche poter utilizzare il “mogogo” elettrico – il forno locale con il quale cuocere “l’injera” il pane fatto con il thief – senza dover fare ricorso al carbone od alla legna .
Con i servizi igienici, una semplice turca, che evita però di doversi recare nei campi per i propri bisogni corporali.
Con una doccia che, è una regola del Villaggio, permette di lavarsi ogni sera prima di andare a letto.
Con la possibilità di lavare le stoviglie ed i vestiti, di spazzare e lavare i pavimenti, fatti di semplici e robuste piastrelle, invece di quelli in terra battuta.
Mi accorgo di avere scritto tanto, forse troppo, ma ho scritto di getto, seguendo il filo dei primi pensieri venutimi alla mente, con il cuore pieno di gioia e di desiderio di cercare di trasmettere a tutti un poco, di quel tanto, che Adwa ed il Villaggio, ogni volta mi regalano.
Un sincero ringraziamento a tutti voi, per essere riusciti, tutti insieme, metro su metro, a costruire in poco più di un anno una realtà così meravigliosa, come il Villaggio ed il Centro di Emergenza, là dove c’erano solo pietre e sterpi.
Il “paradiso” comincia a funzionare!
Franco[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]