Una notte, a lungo … quel pianto, tanti pianti, accorati, imploranti, intridere l’anima, dentro, dentro.
Poi la luce accesa, l’orecchio avvicinato alla finestra per capire; e uscire fuori, al freddo della notte, per non udire più quel pianto che chiamava, chiamava, da uno spazio sconosciuto, da una distanza infinita, o vicinissimo, lì, dietro i vetri … .
Quel pianto, non eco, pianto, rimasto nel cuore, nei pensieri, nella carne.
Pianto di chi?
Quale petalo aveva ceduto, mossa a compassione, la rosa dei venti, per far spirare fin lì quel vento strano, carico di dolore?
Chi glielo aveva messo tra le mani, perché divenisse il suo? E perché proprio a lui, Francesco?
E cosa fare di tutto quel dolore che adesso aveva preso un corpo, ma non un volto, e curvava il cuore, sotto il suo peso?
Un viaggio, due, tre, laggiù, in Etiopia, ad Adwa, tra i monti di fiaba, ed eccolo … venirgli incontro, prendere spessore, nel corpo, nei volti, negli sguardi di donne, di bambini; ma quante donne e quanti bambini…, un fiume silente, inarrestabile, un quieto fiume di morte, di vita negata, di grida soffocate, lacrime di silenzio.
E ogni tanto il fiume, dai monti di fiaba, restituire una cesta con dentro una vita, frutto di un’altra, abbandonata a sé stessa, che si era spenta nel dono.
Scendevano gli uomini dai villaggi tra i monti, con quelle ceste tra le mani, senza dire nulla, perché non c’era più un seno che potesse dare latte e vita, e lasciavano a Francesco quel peso leggero… o pesante.
Ma come è il peso specifico di una vita?
Una stagione, più delle altre riarsa, bruciata, assetata, fece ingrossare il quieto fiume di morte e lo si sentiva mugghiare in lontananza, mentre le ceste si moltiplicavano e le acque asciutte portavano giù a valle altre creature, fatte ormai solo di polvere e di sguardi stremati.
Francesco seppe allora di dover fermare il fiume.
Allagò il cuore, si fece diga e le ceste si arrestarono lì, al Villaggio… .
E quando la luna salì, da dietro i monti di fiaba, la prima notte di quiete si illuminò di un oro caldo e pastoso, che fasciò l’urlo delle iene e spense per sempre quel pianto.
Luciana