“ Altri è colui che semina, altri colui che miete. Semina quindi, senza spiare il vento “.
Ricorderò sempre la prima volta che vidi Mikal.
Era sul ciglio della strada, seduta su uno di quegli sgabelli che si usano qui, fatti di legno e di pelle di mucca intrecciata.
Accanto a lei un bidone di plastica blu che conteneva tutta la sua vita.
Con lei c’era una bambina. Non si conoscevano, ma avendola vista lì, seduta da sola, si era fermata per farle compagnia in attesa che arrivasse qualcuno a prenderla.
Mikal sorrideva, con quello stesso sorriso dolce che ha oggi ogni volta che i nostri sguardi si incrociano.
Sorrideva come se aspettasse qualcosa di bello, come se sapesse che qualcuno sarebbe arrivato per portarla via, in un posto che osava solo immaginare. Quel qualcuno, ero io.
Lei aspettava me ed io aspettavo di trovarla.
Questa è la sua storia.
Mikal e la mamma erano arrivate insieme ad uno dei tanti gruppi di profughi che giornalmente venivano espulsi dall’Eritrea in quel periodo. Ognuno portava con sè quello che era riuscito a prendere prima di essere prelevato dall’esercito e portato al confine per far ritorno in Etiopia. Alloggiavano tutti in degli enormi tendoni, in attesa di essere controllati dalle autorità e poi essere smistati.
La mamma, che suo malgrado faceva il mestiere più antico del mondo per mantenere sua figlia, era gravemente malata ed era arrivata ad Adwa in fin di vita, provata dal viaggio e dalle sofferenze.
Due giorni dopo essere entrata nel tendone ed aver portato al sicuro sua figlia, è morta.
Fu il suo ultimo sforzo.
Mikal aveva dato ad alcune persone dei soldi che le aveva lasciato la mamma, per il funerale, dovevano servire per seppellirla e rendere onore al suo corpo.
Me lo aveva raccontato con quella fierezza di chi vuole dimostrare di non essere più una bambina ma già una donnina capace di occuparsi anche di queste cose. Voleva dirmi che aveva già pensato a tutto.
Purtroppo quei soldi, troppo pochi per smuovere la pietà di altri disperati, erano serviti solo a scavare una buca non profonda abbastanza. La sepoltura era durata poche ore, fino a quando, appena sceso il buio, le iene erano diventate le padrone della notte.
Ma questo Mikal non lo ha mai saputo.
Mentre andavamo in macchina verso il Villaggio rideva e cantava e io la guardavo nello specchietto, chiedendomi il motivo di quella sua incomprensibile felicità.
“Come sono fortunata, come sono fortunata” cantava nella sua lingua, e sorrideva, batteva le mani e rispondeva con gli occhi al mio sguardo curioso.
Arrivati al Villaggio trovai due parenti che avevano saputo della morte della mamma ed aspettavano….
Non Mikal, ma il contenuto del bidone blu che portava con sè.
Cominciarono a tirare fuori con disgustosa avidità, tutto quello che c’era dentro, cercando qualcosa di valore, ma non uscivano che vecchie pentole, vestiti sgualciti, cornici con foto e oggetti di poco conto.
Mikal cercava di recuperare tutto quello che veniva buttato in terra come qualcuno che tenta di raccogliere un vaso di palline cadute sul pavimento.
Diedi dei soldi ai due uomini pur di mandarli via e “comprai” il bidone con tutto il suo contenuto.
Lei mi guardava con occhi lucidi, profondi e pieni di gratitudine.
Sapeva perché stavo pagando tutti quei soldi per un bidone pieno di vecchie cose.
Mikal arrivò da noi che aveva 9 anni. Oggi ne ha 22, si è laureata, ha una casa in affitto e lavora presso il nostro Villaggio come membro dello staff.
Il giorno in cui si è trasferita nella nuova casa le abbiamo consegnato il suo bidone blu.
“ Non ho mai spiato il vento “, ho lasciato che la terra producesse il suo frutto.
Francesco