Cari Amici,
nella comunicazione del giugno scorso vi avevo accennato al gravissimo problema della siccità, che stava attanagliando l’Etiopia e vi avevo anche segnalato che erano iniziate alcune piogge, ancora del tutto sporadiche, auspicando che proseguissero. Così fortunatamente è stato, come sanno coloro che ci hanno scritto o telefonato nei giorni successivi. Le “Grandi Piogge”, sono finalmente arrivate, anche se con notevole ritardo, e sono proseguite abbondanti, consentendo quindi di seminare e poter contare sul raccolto autunnale, quello più importante. È stato quindi scongiurato il pericolo di una nuova siccità, che avrebbe scatenato una drammatica carestia.
La situazione però, se ha risolto il problema del raccolto, e non è poco, non ha però ancora risolto il problema della carenza di luce e di acqua.
La luce e l’acqua sono sempre razionate, arrivano senza una cadenza precisa e solo per poche ore. Spesso la sera tardi o la notte. Noi riusciamo in qualche modo a far fronte alle necessità, grazie al generatore ed ai due pozzi che abbiamo scavato all’interno del Villaggio. Ma è comunque una situazione di emergenza. Purtroppo non è possibile fare previsioni. Durante il mese di agosto, in alcuni periodi, l’intera Etiopia è stata senza luce elettrica. Una sorta di black out, come quello capitato in Italia negli anni scorsi. Potete immaginare gli enormi problemi causati da tali eventi, in un paese dove alcuni ospedali, come quello di Adwa, non dispongono di gruppo elettrogeno. Analogamente per gli alberghi. Ad Addis Ababa, solo quei pochissimi alberghi appartenenti a catene internazionali hanno un gruppo elettrogeno, gli altri ne sono sprovvisti.
Ovvio che il problema comporti non solo i risvolti legati alla immediata carenza, ma anche ad enormi conseguenze a livello igienico e sanitario.
Speriamo che il problema possa in qualche modo regolarizzarsi considerato che, da alcuni giorni, è ripresa la regolare erogazione della luce e dell’acqua. Però, per quanto concerne l’acqua, la situazione è comunque preoccupante, perchè l’acqua che esce dai rubinetti non è pulita, ma ha un colore che assomiglia a quello del the. Per darvi un’idea di quanto sia sporca, considerate che i filtri che abbiamo, e che servono a potabilizzare l’acqua, in genere durano tre mesi; ora sono durati solo tre giorni! Per fortuna è stato possibile installare un pre-filtro, con cartucce lavabili. Ma un solo filtro è insufficiente per tutto il Villaggio per cui l’acqua è comunque razionata. Al più presto porteremo altri filtri per aumentare la disponibilità di acqua.
La mensa
La mensa, all’interno di Villaggio, è quasi al traguardo, salvo imprevisti. Ma, questa volta, pensiamo proprio di essere veramente vicini al completamento. Abbiamo acquistato anche tutte le necessarie attrezzature e contiamo di poterla completare entro la fine dell’anno per renderla operativa nei primi del 2010. Al momento non sono ancora in grado di anticipare nulla, ma state certi che vi informeremo non appena sarà in funzione.
Winta
Un giorno si sono presentate al cancello del nostro Villaggio una bambina accompagnata da una anziana donna, che poi abbiamo scoperto essere la nonna.
La bimba aveva un braccio fasciato con stracci e bende sporchi e maleodoranti e si lamentava per il dolore. La nonna era venuta a chiederci denaro per il medico. La bimba, cadendo, si era rotta un braccio, ci ha raccontato, per cui necessitava di denaro per farla curare. Ci siamo subito offerti di provvedere noi alle cure, ma la donna insisteva unicamente per un aiuto in denaro che, assicurava, avrebbe utilizzato per il medico. Ovviamente tale comportamento ci ha insospettiti. Difatti, dopo una serie di domande, ha ammesso che la bimba era stata curata secondo la medicina tradizionale e che il denaro le occorreva per continuare questo tipo di cura. È così iniziata una lunga trattativa, alla fine della quale la donna – che vista la impossibilità di ottenere denaro voleva andarsene – ha acconsentito a farci dare uno sguardo al braccio della bambina che continuava a lamentarsi ed a piangere. Così abbiamo portato Winta (questo il suo nome), nella infermeria del nostro Centro di Emergenza. Quando abbiamo tolto gli stracci sporchi e pieni di mosche, che coprivano il braccino di Winta, ci siamo trovati di fronte ad uno spettacolo raccapricciante. L’avambraccio della bimba era una massa di carne infetta e sanguinolenta: sembrava che fosse stato masticato a lungo da un cane. Non riuscivamo a capire come una semplice caduta avesse potuto provocare, nel braccio della piccola, effetti così devastanti e, soprattutto, tutte quelle lesioni della carne. Malgrado tutte le nostre domande, non siamo riusciti ad avere dalla nonna altre indicazioni. Abbiamo subito portato Winta all’ospedale di Adwa dove, proprio in quei giorni, lavorava Jacques, un medico inviato dall’Onu, venuto a dare un aiuto. Si dava il caso che questo medico fosse anche un ortopedico. Proprio quello che faceva al caso nostro. L’avevamo già conosciuto ed era stato a cenare a casa nostra più di una volta. Quando Jacques ha visto il braccio, si è messo le mani nei capelli. Non aveva mai visto una cosa del genere e quel disastro non poteva derivare da una semplice caduta. A livello osseo si trattava di una frattura tra le più brutte che potessero occorrere, perché coinvolgeva anche il gomito, ma l’intero avambraccio presentava diverse altre fratture. Quanto alle lesioni della carne, erano inspiegabili. Era passata più di una settimana dall’incidente, per cui non era più possibile effettuare qualsiasi intervento chirurgico. L’unica cosa che Jacques poteva fare, era di sistemare manualmente le fratture. Ma la funzionalità del braccio sarebbe stata comunque gravemente compromessa. Era ormai tardi, per cui ha dato appuntamento alla donna ed alla bambina alle otto del mattino seguente. Alle dieci ancora non si era presentato nessuno, per cui Jacques ci ha telefonato, per informarci.
Siamo andati a cercarle nella loro casa, dove la nonna ci ha detto che non voleva riportare la bimba all’ospedale, ma che intendeva farla curare ancora con la medicina tradizionale. A sentire queste parole, la bimba, che fino ad allora era rimasta abbastanza tranquilla, ha cominciato ad urlare ed a piangere disperatamente, gridando che non voleva andare ed aggrappandosi alla nostra infermiera. I suo occhi gridavano il terrore, ancora più delle sue urla e dei suoi pianti. La nonna la rimproverava, dicendole di tacere. Perché la bimba era così terrorizzata? C’è voluto del tempo, per riuscire a calmarla ed a rassicurarla ma, alla fine, ci ha raccontato la verità. La caduta, come abbiamo avuto conferma da quello che ha poi detto la nonna, le aveva provocato, probabilmente, solo una slogatura e forse, anche una piccola frattura. Il “guaritore” aveva fatto tutto il resto. Le aveva messo l’avambraccio su una pietra, ed aveva cominciato a colpirlo violentemente con un grosso sasso “per sistemare le ossa”, provocando tutte le altre fratture, inclusa quella più grave. Ecco perchè la carne dell’avambraccio sembrava essere stata masticata da un cane, ecco il motivo del terrore di Winta, quando aveva sentito che la nonna la voleva riportare da chi l’aveva sottoposta a quell’assurda e massacrante tortura.
La nonna continuava ad insistere con la medicina tradizionale, aggiungendo a questo punto che tutte le urla di spavento della bambina dimostravano solo che era stata presa dal diavolo, per cui doveva anche portarla alle “holy waters”, le acque sante che, in Etiopia, sono numerose e ritenute molto efficaci.
Visto però la nostra decisione e temendo l’intervento della polizia, è salita sulla nostra auto che utilizziamo anche come ambulanza e siamo finalmente arrivati all’ospedale.
Qui Jacques, fatta un’anestesia locale, ha cercato di sistemare con le sole mani, meglio che poteva, le ossa fratturate di Winta. Ha poi provveduto ad una accurata disinfezione unita ad antibiotici, ed ha sistemato il braccio con una fasciatura semirigida, raccomandandosi di ritornare dopo una ventina di giorni. Abbiamo proposto alla nonna di restare presso il nostro Centro all’interno del Villaggio, insieme con la bambina, per essere certi di una maggiore igiene e per avere sotto controllo ogni eventuale manifestazione che richiedesse nuovamente l’intervento del medico. La donna però ha rifiutato, preferendo ritornare al proprio villaggio, ma accettando comunque di lasciare da noi Winta che, in tal modo, abbiamo potuto tenere sotto controllo.
Quando è stato il momento, abbiamo riportato Winta all’ospedale, dove Jacques le ha tolto la fasciatura e verificato che le ferite si erano chiuse, fortunatamente senza ulteriori problemi e che le ossa del braccio si erano già sufficientemente saldate. La funzionalità del braccio era però ormai compromessa, sia nei movimenti che nella forza ma, comunque, permetteva un parziale ed accettabile utilizzo del braccio. Era un risultato notevole, del quale abbiamo ringraziato Jacques che era riuscito – malgrado le condizioni in cui si trovava il braccino di Winta, il tempo trascorso dal momento dell’incidente, nonchè il rischio di gravi infezioni – ad evitare conseguenze molto peggiori.
Winta dunque, continuerà ad avere entrambe le braccia, anche se una di queste la potrà utilizzare in misura ridotta. E questo, per una donna, che deve svolgere i lavori più pesanti, compreso quello di portare l’acqua nelle povere abitazioni dei villaggi, attingendola a qualche pozzo o ruscello lontano dall’abitazione o dalla capanna, costituisce un grave handicap che, certamente, segnerà tutta la sua vita e la condizionerà pesantemente.
Così Winta è stata ridata alla nonna, alla quale abbiamo spiegato la situazione e detto anche che il braccio era comunque definitivamente compromesso. Conoscendo la mentalità delle persone che vivono nei villaggi, l’abbiamo anche seriamente ammonita a non avvalersi della medicina tradizionale perché, per il braccio di Winta non si poteva fare di più.
Di Winta e della nonna non abbiamo avuto altre notizie per diversi giorni ed abbiamo quindi sperato che la situazione si fosse definita.
Un giorno, invece, la nonna si è ripresentata al nostro Villaggio chiedendo del denaro per curare Winta. Il braccio di Winta, diceva, non è guarito, perché la bimba riesce ad usarlo poco, quindi non è stata curata bene dal medico straniero. Voleva quindi avvalersi di nuovo della medicina tradizionale che avrebbe ridato piena funzionalità all’arto. Il denaro le occorreva per acquistare un sedere di scimmia (avete letto bene!), che avrebbe applicato al braccino di Winta che, in tal modo, avrebbe ripreso la piena funzionalità. Inutile tentare di rispondere, avremmo solo perso tempo. La donna se ne è andata protestando perché le avevamo rifiutato il denaro per acquistare il “sedere miracoloso” che, secondo lei, avrebbe risanato Winta. Ci siamo guardati senza parlare: che dire di fronte ad una richiesta del genere. Dopo il primo momento di sorpresa e stupore per quella inaspettata e singolare richiesta, provavamo ora solo delusione e sgomento.
La medicina tradizionale – che utilizza erbe ed altri rimedi naturali – ha un suo fondamento scientifico e, se praticata da chi la conosce veramente, può essere di concreto aiuto in alcuni casi. Purtroppo sono ben pochi coloro che la conoscono veramente e che la applicano in modo corretto. Secondo le statistiche del World Health Organisation sarebbe solo il 10% di coloro che praticano la medicina tradizionale ad averne una vera e corretta conoscenza. Gli altri sono dei ciarlatani, che vendono rimedi miracolosi ed assurdi, ovvero sottopongono le persone a pratiche del tutto inutili, se non cruente come nel caso di Winta, e quasi sempre pericolose e dannose.
Per consolarci, abbiamo considerato che il nuovo intervento del guaritore, questa volta, si limitava all’applicazione di sederi di scimmia sul braccio, invece di triturarlo con una pietra. Non era un gran progresso, ma sembrava comunque scongiurato il pericolo di un altro intervento devastante.
Il braccio di Winta era salvo. Malandato, ma salvo. Era il massimo che di quello che si poteva fare in quella situazione.
Bisognava accontentarsi. E chissà quante altre volte, dovremo accontentarci ancora.
Impotenti, di fronte all’ignoranza ed alla povertà. Impotenti di fronte al dolore, del quale, forse, riusciremo ad asciugare una sola delle tante lacrime.
Quante altre Winta ci sono sparse in giro nei vari villaggi, che non hanno avuto la “fortuna” di arrivare al nostro Villaggio?
Quante altre Winta vengono curate con mezzi così cruenti e assurdi, ai quali risulta difficile dare qualsiasi significato logico, che provocano solo maggiori danni?
Quante altre Winta vivono e soffrono, in silenzio e senza che mai alcuno ne sappia nulla, nel loro corpo e nella loro anima, questi ed altri drammi, frutto di povertà, di ignoranza, di isolamento?
Quante altre Winta, ancora e per quanto, dovranno soffrire, prima che il loro dolore e le loro lacrime raggiungano le nostre orecchie ed i nostri cuori, provocando un sussulto di pietà, di intenerimento e ci spingano a prenderne coscienza?
Non c’è risposta a queste ed a tante altre domande.
C’è però una risposta personale che ognuno può dare. Ed è quando lasciamo che nasca dentro ciascuno di noi la coscienza dell’esistenza di quel dolore, primo e necessario passo perché quelle grida e quelle lacrime possano cominciare a stringere il nostro cuore, fino a renderci doloroso l’ascolto, impossibile il non udire, inaccettabili il silenzio e l’indifferenza.
Un caro saluto ed un grazie a tutti voi, per l’affettuoso ascolto e per la partecipazione, attraverso i quali, tutti insieme, riusciamo ad asciugare qualche lacrima.
A presto!
Franco[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]