Diario Settembre 2012

Cari amici,

Quest’anno ricorre il decennale della costituzione della nostra associazione, fondata proprio nell’anno 2002.

Già dieci anni? Solo dieci anni? Sembra così lontano e così vicino quel tempo.

Da un lato ripensando agli inizi, guardando le foto del terreno, dove ora sorge la realtà del Villaggio, mentre all’epoca vi erano solo sterpaglie e sassi, mi sembra di guardare ad un periodo lontanissimo del passato, quasi appartenesse alla mia giovinezza. Da un altro lato, se penso alle persone e ai bimbi che sono entrati nel Villaggio o che hanno soggiornato nel Centro di Emergenza, ai bimbi che vivono ormai stabilmente con noi, ho invece la sensazione che si tratti di un tempo vicinissimo, quasi presente e così a portata di mano.

Credo che entrambe le sensazioni siano esatte e rappresentino due diversi aspetti di uno stesso evento. La sensazione che si tratti di un tempo lontano, mi fa comprendere quanto questo decennio trascorso abbia influito profondamente su tutti noi. Siamo difatti passati da un primo approccio con la vita di Adwa, prevalentemente visivo ed emotivo, a una consapevolezza e conoscenza molto più profonde e vere di tale realtà, riuscendo a cogliere aspetti più nascosti della vita, della mentalità e della cultura locali. Questo ci consente di intervenire in modo sempre più incisivo nell’aiuto di tutti coloro che cerchiamo, insieme a voi, di sottrarre ad un “destino” altrimenti diverso.

Alcuni di voi ci hanno aiutato occasionalmente mentre molti altri – lo stavamo verificando proprio in questi giorni – sono rimasti al nostro fianco sin dall’inizio. Una costanza e una generosità che non si sono fermate al primo impatto emotivo per poi svanire in fretta, ma che sono entrate silenziosamente, con gioia, con affetto, con una partecipazione, non solo economica ma anche di sostegno morale, in questa piccola grande famiglia che abbiamo voluto formare, dedicandola a James, il primo bimbo che abbiamo incontrato e che non siamo riusciti a salvare. La sua morte, inevitabile, ci ha però messi di fronte ad una realtà che non conoscevamo e, con la gioia e l’entusiasmo di chi inizia una nuova avventura, ci ha spinti ha costituire la Fondazione. Nessuno aveva idea di quali risultati questa decisione avrebbe avuto, né dove ci avrebbe portati. La morte di James era stata un segnale al quale sentivamo di dover rispondere convinti, come siamo sempre stati, che di fronte alla sofferenza di bambini, donne e uomini che domandano aiuto o semplicemente ne hanno silenziosamente bisogno, restare muti e inerti, senza fare nulla, rende colpevoli di mancata assistenza e attenzione dovuta all’altro, colpevoli di indifferenza, schierandosi quindi, tacitamente, dalla parte del male. Così abbiamo risposto. Ma chi poteva pensare che, al nostro fianco ci sareste stati anche voi, così numerosi, così affezionati, così affettuosi, così partecipi? Chi poteva pensare che – unicamente con il vostro aiuto, di persone all’epoca del tutto sconosciute, sarebbe stato possibile costruire, in tempi brevissimi – tanto più in una realtà africana – un Villaggio, dove ospitare stabilmente e far crescere tanti orfani; sostenere tante famiglie e tanti bambini che vivono ad Adwa e nei villaggi circostanti; consentire a tante donne, attraverso i gruppi di lavoro, di raggiungere un’autonomia e una presa di coscienza della loro dignità; avviare e far funzionare un Centro di Emergenza dove centinaia di bambini denutriti sono stati restituiti alla vita; costruire una scuola per ciechi, e tante altre iniziative di sostegno, di aiuto e di assistenza…

Quanta strada percorsa insieme in questi dieci anni!

Quante storie, quanti avvenimenti, quante vite mutate o salvate. Cito a caso.

Melat, la prima bimba trovata da Francesco abbandonata in una strada, reclamata dalla madre che l’ha poi di nuovo abbandonata; rintracciata, dopo oltre un anno di ricerche, presso un pastore seminomade, dal quale è stata faticosamente recuperata.

Lucky – lo abbiamo chiamato così “il fortunato” – perchè trovato dalla polizia sulla riva di un torrente, sommerso dal fango fino alle spalle, dopo una notte di tempesta con piogge torrenziali alle quali era miracolosamente scampato dopo essere stato abbandonato.

Hadera, la piccola ladruncola, incontrata a mendicare al mercato del sabato insieme al fratello cieco, che grazie al nostro sostegno, ha potuto invece frequentare la scuola con ottimi risultati, mentre il fratello ha frequentato una scuola per ciechi e ora si appresta a divenire uno degli insegnanti.

Rompina, la bimba sorda, abbandonata dai familiari in ospedale, da noi chiamata affettuosamente in questo modo, per il suo perenne parlare e chiamare con voce altissima, che ti si parava davanti, qualunque cosa stessi facendo, reclamando attenzione e coccole. La malattia che l’ha condotta alla morte non è mai stata esattamente diagnosticata, poteva forse trattarsi di una tubercolosi addominale o di una cirrosi epatica, ma almeno ha vissuto l’ultima parte della sua breve vita accudita e amata, come lei stessa faceva notare.

Idris il primo denutrito giunto nel nostro Centro di Emergenza, dopo che il medico locale lo aveva dichiarato senza speranza, invitandoci a non perdere tempo con lui e che è invece sopravvissuto.

Teresa, che il padre aveva deciso di lasciar morire e che è stata lasciata senza cure per ben due settimane dopo la nascita, perché la madre era morta per le conseguenze del parto. Quando è giunta da noi aveva piaghe da decubito che lasciavano intravedere le ossa. È ora una bellissima e dolcissima bambina, sempre pronta all’abbraccio, con grandi occhi che ti interrogano in silenzio.

Andreas, che stava morendo in ospedale per edema polmonare a causa di una eccessiva quantità di liquidi somministrati con flebo, salvatosi solo grazie alla presenza di un medico, nostro volontario, che gli ha fatto praticare un’iniezione di cortisone, salvandolo da morte certa.

Winta, giunta con il braccio plurifratturato a seguito dell’intervento di un guaritore locale che, alla frattura iniziale, aveva posto rimedio triturando con una pietra tutto l’arto. L’intervento di un ortopedico, occasionalmente presente, ha consentito di evitare l’amputazione per cui l’arto, anche se in parte menomato, può però essere utilizzato per la maggior parte delle quotidiane necessità.

Trasina, piccola bimba ragno, perché quando giunse da noi camminava appoggiandosi sulle mani e sui piedi e spostandosi lateralmente. Dopo essere riusciti a farla camminare in posizione eretta, grazie anche all’utilizzo di stampelle, è stata operata e, malgrado alcune sue difficoltà psichiche, ora si muove molto più speditamente.

E infine Millina, la piccola sordomuta, vivacissima e intelligente, che ha potuto frequentare un elementare corso per sordomuti – organizzato da un maestro locale – che le ha permesso di imparare il linguaggio dei segni, con il quale riesce a comunicare con tutti gli altri bimbi del Villaggio.

Ma Millina rappresenta anche quello che ritengo sia il più bel regalo – per tutti voi e per tutti noi – in occasione di questo decennale.

Grazie a Nevia – che con infinita pazienza è riuscita a scoprire l’esistenza di un bravo otorino ad Addis Ababa – Millina è stata visitata. Il risultato è stato entusiasmante: Millina avrebbe potuto sentire con un apparecchio acustico a lei adattato! Ciò è avvenuto proprio in questi giorni e ho ricevuto l’emozionata telefonata da Adwa con la quale mi si comunicava che Millina era appena rientrata da Addis Ababa, dove le era stato applicato l’apparecchio acustico. Ora Millina ci sente, anche se ha difficoltà a comunicare perché adesso deve imparare il linguaggio.

Non vedo l’ora di incontrarla, sentire finalmente la sua voce, vedere il suo visetto vispo che non si limiterà più a sorridermi ed esprimersi con qualche scarno gesto, come per il passato, ma che riuscirà finalmente a parlare ed a sentire: adesso Millina è entrata nel mondo e comunica!

Di nuovo la domanda iniziale. Già dieci anni? Solo dieci anni?

Cosa è accaduto in questo periodo?  Qual’é il loro significato più profondo?

Certo vi sono dei risultati concreti, che si possono sintetizzare nel numero di persone e bambini assistiti, di somme raccolte, di importi spesi, di donatori, di adottanti, del Villaggio costruito dal nulla, di altre costruzioni e di altri progetti realizzati.

Ma sento che non è questo il vero e profondo significato di questo decennio di attività e di quanto è stato fatto, con il contributo di tutti: fondatori, donatori, volontari.

Il significato profondo é un altro e mi sembra possa essere sintetizzato e racchiuso nella storia e nel nome dell’ultimo bimbo giunto al nostro Villaggio: Walta

Quando ci è stato portato dalla locale polizia, Walta aveva pochissimi giorni e il corpo pieno di ecchimosi, che non sapevamo a quale causa attribuire. Poi abbiamo saputo la sua storia. Nella zona dell’Etiopia dove operiamo (siamo al nord, al confine con l’Eritrea) i movimenti delle persone avvengono prevalentemente a piedi o a dorso di qualche animale: somarelli, muli o cammelli. I trasporti su più lunghe distanze sono invece affidati ad autobus che, partendo da una cittadina, ne raggiungono un’altra, seguendo un percorso che si snoda su strade sterrate e che, a parte qualche raro villaggio, non prevede fermate fisse, ma carica e scarica le persone lungo il tragitto, effettuando inoltre alcune fermate, in genere negli stessi punti del percorso, per i bisogni fisiologici dei viaggiatori. Da uno di questi bus è scesa anche una donna incinta che, nel breve tempo dedicato alla fermata in un punto qualsiasi del percorso, si è appartata, ha partorito il proprio bambino, abbandonandolo sul terreno e risalendo poi sul bus per proseguire il proprio viaggio.

Nel luogo dove il bus aveva fatto sosta e dove il bambino era stato abbandonato, si trovava a pascolare un gregge di capre che, nel loro lento avanzare, hanno ripetutamente pestato il piccolo neonato il quale, incredibilmente, non solo non ha subito significative lesioni da quelle ripetute pestate – causa delle ecchimosi che recava su tutto il corpo – ma è sopravvissuto all’abbandono, avvenuto  immediatamente dopo il parto, tenuto anche conto che non gli era stato neppure legato il cordone ombelicale il quale, fortunatamente, ha formato un coagulo spontaneo che ha evitato una emorragia fatale. Solo molte ore dopo la nascita, verso il tramonto, due pastorelli sono venuti a recuperare il gregge per riportarlo all’ovile e, nel radunarlo, si sono del tutto occasionalmente imbattuti nel corpo del bambino, ancora vivo. Lo hanno quindi portato nella loro capanna e poi alla polizia, che lo ha trasferito nell’ospedale di Axum dove, dopo la legatura del cordone ombelicale, lo hanno riconsegnato alla polizia suggerendo di affidarlo a noi, non essendo attrezzati per il suo ricovero. Saputa la storia e capita l’origine delle ecchimosi, una delle nostre lavoranti ha commentato che il bambino non era morto perché era stato difeso e protetto da uno scudo divino. Le numerose e gravi ecchimosi, conseguenza del ripetuto calpestio da parte degli animali, lasciavano qualche perplessità sulla concreta tenuta dello scudo. Però la sopravvivenza di un neonato, abbandonato subito dopo la nascita su un terreno desertico, senza neppure la legatura del cordone ombelicale, ripetutamente calpestato da un gregge di capre, è un evento non proprio normale. Perciò, con grande gioia di tutte le nostre lavoranti che condividevano la tesi dello scudo, abbiamo deciso di chiamare il bambino Walta, che nella lingua locale significa proprio scudo.

Ho sentito che questo nome, il suo significato, la storia del ritrovamento di Walta rispondessero perfettamente a quanto volevo esprimere.

In effetti cos’altro abbiamo fatto se non difendere e proteggere la vita di tanti bambini che altrimenti non ci sarebbero, alleviare la sofferenza di persone malate o sole, sostenere famiglie povere e bisognose, malati e indigenti; garantire la frequenza della scuola, sottrarre a situazioni di degrado e di abbandono; offrire una speranza e una possibilità per un futuro migliore?

Ho citato alcuni nomi a caso, dei quali vi ho parlato nelle varie newsletters, ma potrei citarne molti, molti altri. Tutti. Difatti ad ogni nome dei bimbi del nostro Villaggio e molti dei nomi di quelli che aiutiamo o abbiamo aiutato, anche se vivono con le proprie famiglie di origine, corrisponde una storia singolare e unica, che meriterebbe di essere raccontata per aprirci, ciascuna, un piccolo varco sulla realtà di un mondo così vicino ma così lontano e sconosciuto.

Concludo con un grazie affettuosissimo, che nasce veramente dal cuore, a nome di tutti noi della Fondazione, ringraziandovi per il sostegno, l’affetto e la partecipazione dimostrati, che ci hanno permesso di trovarci ora qui, tutti insieme, dopo ben dieci anni o dopo solo dieci anni, a riflettere su questa “avventura” ed a verificare quanto l’amore e la generosità di ciascuno, messi insieme, abbiano potuto fare.

Un abbraccio affettuoso a tutti e… a presto, sicuramente prima del prossimo decennio!

Franco

Associazione
James non morirà
Via Nicotera 29
00195 Roma